21/10/2020 12:04 CEST | Aggiornato 23 ore fa

La curva dei contagi sale, gli indizi puntano verso gli studenti

Con la riapertura delle scuole circa 8 milioni di giovani in età scolare hanno iniziato a frequentarsi dentro e fuori gli istituti. Questo probabilmente ha portato a un effetto amplificatore dei contagi.

casi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

L’aumento dei contagiati ha iniziato dai primi di ottobre una crescita esponenziale.

L’effetto è visibilissimo nella curva a puntini rossi riportata nella figura seguente. Fino al 30 settembre la crescita post-estiva si stava attenuando e stava raggiungendo un plateau di picco: 

Dal  primo ottobre ha ripreso a salire velocissima raddoppiando ogni 11 giorni e superando, oggi 21 ottobre, di gran lunga il massimo raggiunto in aprile: siamo a 142.739 infetti, questo significa che se l’aumento si manterrà così intenso tra 10 giorni potremmo superare i 300.000, tra meno di 20 giorni potrebbero salire a più di 600.000.

Siamo entrati in una fase di crescita esponenziale: è stato detto e ridetto, nessun sistema sanitario può sostenere una crescita esponenziale se non per tempi brevissimi.

Anche se circa  93% di questi infetti sono paucisintomatici o addirittura asintomatici e vengono isolati presso il proprio domicilio, la corrispondente,  anche se ristretta, percentuale di sintomatici all’interno di una crescita così rapida porterebbe a numeri insostenibili anche delle ospedalizzazioni e delle terapie intensive.

È assolutamente necessario capire quale sia la causa di questa crescita e intervenire di conseguenza per stroncarla. Non possiamo andare per tentativi, abbiamo perso troppo tempo.

Ricordiamoci che se anche attivassimo un lockdown totale domani mattina, e al momento nessuno sostiene la possibilità del ricorso al più drastico dei sistemi di contenimento della epidemia, il meccanismo di infezione già in atto continuerebbe per almeno una settimana o più, portandoci probabilmente a più del raddoppio degli infetti, dei ricoverati e delle terapie intensive, prima di iniziare a rallentare.

Quale è la causa di questa crescita improvvisa e rapidissima? Cosa è successo a partire dal primo di ottobre? Come mai la stragrande maggioranza degli infetti sono “lievi”, paucosintomatici o asintomatici, identificati solo grazie ai tamponi di “screening” e non a causa di sintomi gravi e conseguenti tamponi “diagnostici”?

Andiamo per ordine, abbiamo già molti indizi da cui possiamo cercare di derivare la risposta alla prima domanda.

La dominanza di infetti “lievi” suggerisce una categoria di persone giovani: sappiamo che i virus colpisce in modo molto differente a seconda dell’età. I  dati sui contagiati confermano un forte abbassamento dell’età media rispetto alla primavera scorsa.

Per capire cosa scatta il primo ottobre, dobbiamo cercare qualcosa che è successo circa una settimana prima, essendo questi i tempi tipici tra il contagio e la rivelazione dei sintomi. Cosa è successo il 24 settembre? Una cosa balza all’occhio: è iniziata la scuola in Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Abruzzo; in Sardegna il 22 settembre. Nella maggior parte di queste regioni, in effetti, osserviamo crescite esponenziali a partire dall’inizio di ottobre che si sommano a crescite già molto rapide nel periodo post-estivo.

Come trend generale, il mese di settembre aveva infatti visto una crescita rispetto ai precedenti mesi estivi, anche se molto diversificata per aree geografiche e per lo più molto meno intensa rispetto a quanto si sta verificando in ottobre.

Nelle altre 15 regioni, la scuola è iniziata circa 10 giorni prima tra il 14 ed il 15 settembre (a Bolzano il 7). Non si vede però aumento analogo nella crescita di infetti  verso il 20 settembre. Come mai? Si potrebbe considerare il fatto che in  tutte queste regioni, tranne che in Lazio e Sicilia, la riapertura delle scuole è avvenuta in una fase in cui il numero di infetti era decisamente cresciuto meno rispetto all’estate. L’osservazione dei dati nelle prossime settimane ci dirà se i comportamenti di queste regioni siano o meno analoghi alle altre.

Abbiamo quindi due indizi che punterebbero in direzione della scuola: l’infezione che colpisce un gran numero di persone giovani e la correlazione dell’aumento degli infetti con l’inizio della scuola in popolose regioni dell’Italia centro-sud dove l’epidemia aveva ripreso a correre dopo l’estate. Meno netto invece sarebbe il rapporto fra inizio scuola e picco nelle altre regioni.

Per potere trasformare questi sospetti in qualcosa di più solido sarebbero necessari dati più accurati relativi al mondo scolastico. Fortunatamente sono  da poco disponibili, anche se purtroppo non articolati per regioni, dati del Ministero della Salute e del Ministero dell’Istruzione relativi alla popolazione scolastica nel periodo 26 settembre – 10 ottobre. I dati annunciati dal ministro Azzolina a dimostrazione che a scuola va tutto bene sono in realtà allarmanti, se non consideriamo solo i numeri assoluti ma seguiamo l’andamento progressivo dei casi e li confrontiamo con la popolazione italiana.

Nella settimana 26 settembre – 3 ottobre il ritmo di crescita di infetti nel personale docente è lo stesso di quello del resto della  popolazione italiana, quello del personale non docente è poco più elevato (circa l’8%), mentre quello degli studenti è del 36% più elevato del resto della popolazione. Nella settimana seguente la situazione cambia drasticamente: il ritmo di crescita degli infetti tra gli studenti è 2,65 volte (+265%) più alto che per il resto della popolazione, quello del personale docente è esattamente il doppio (+200%), quello del personale non docente è 1,67 volte  (+167%) più alto del resto della popolazione italiana!

MIUR

Questi dati sono impressionanti: la dinamica della crescita sembra proprio essere legata ai giovani in quanto principale veicolo di trasmissione nella società, probabilmente per una serie di comportamenti non necessariamente legati solo alla scuola, ma ad abitudini sociali che si sviluppano anche  esternamente all’orario scolastico.

Con la riapertura delle scuole, circa 8 milioni di giovani in età scolare hanno iniziato a frequentarsi regolarmente negli edifici scolastici portandosi dietro gli effetti delle loro frequentazioni, sport, trasporti, attività extrascolastiche e abitudini sociali. Questo ha provocato probabilmente un formidabile effetto amplificatore che partendo dai ragazzi, tocca, in ordine di intensità decrescente, insegnanti e operatori scolastici, persone che vivono per varie ore ogni giorno in contatto con loro (oltre che, ovviamente, i propri familiari e tutte le persone con cui hanno contatti fuori dalla scuola).

Sarebbe dirimente per confermare o smentire queste ipotesi avere un quadro dei focolai sorti in ambito scolastico. Purtroppo sembrano esserci gravi limiti alla tracciabilità: quando si manifesta un caso spesso le classi vengono messe in quarantena, ma non vengono sottoposte a tampone e quindi manca il riscontro sui singoli casi.

Gli sforzi richiesti alle scuole in termini di riorganizzazione della logistica interna sono stati enormi, ma alcuni limiti come la non obbligatorietà delle mascherine in classe, la esigua misura del metro per il distanziamento, la resistenza ad areare le aule durante i mesi freddi possono porre dei dubbi sulla efficacia complessiva del sistema di protezione.

Certamente le scuole sono più sicure delle restanti occasioni di socializzazione dei ragazzi, ma restano un fenomenale luogo di contatti per una categoria di persone, gli studenti, che poi ha molte altre opportunità di socializzare trasversalmente anche con ridotto rispetto delle norme di distanziamento e protezione.

Mentre scrivo queste righe sono il primo a essere allarmato e spero vivamente che qualcuno mi saprà rapidamente dimostrare che mi sto sbagliando e che le cose non stanno così come le ho presentate. Sarei felice di essere smentito.

Ma se invece le cose stanno come ho scritto e come la logica che ho presentato suggerisce, non c’è assolutamente più tempo da perdere. La scuola sembra essere oggi un elemento amplificatore dell’epidemia forse non solo in Italia ma anche in altri paesi europei. Occorre subito approfondire la questione, raccogliendo rapidamente tutti i dati possibili per poi agire con la massima urgenza.

Così come è stata preziosa per la comprensione del rapporto fra asintomatici e sintomatici la ricerca Istat su un campione della popolazione, così sarebbe bene scegliere un campione di scuole da esaminare dettagliatamente tramite tamponi e tracciamenti precisi così da individuare la eventualità di focolai, cioè di trasmissione interna e non esterna alla scuola.

Sarebbe inoltre interessante confrontare analiticamente i dati relativi a scuola in cui il rientro è stato fatto con orari regolari e solo in presenza, a classi complete, e le scuole che nella loro autonomia hanno già realizzato a partire da settembre rotazioni fra scuola in presenza e a distanza, turni di ingresso diversificati, riduzioni delle classi a sottogruppi.

Dati trasparenti e pubblici sono strategici nel contenimento di una epidemia, per impostare risposte razionali. 

Ricordiamoci che nessun sistema sociale, lavorativo, sanitario può resistere a una crescita esponenziale della pandemia.

Il tempo a disposizione è davvero poco e molto prezioso.