di Fabrizio Reberschegg, dalla Gilda degli insegnanti di Venezia, 27.4.2022 – Norme transitorie per l’accesso al concorso e per l’immissione in ruolo: ovvero come complicare i percorsi abilitanti e rimpolpare il precariato.

Il Decreto Legge su reclutamento e formazione dei docenti approvato dal Consiglio dei Ministri che dovrebbe essere votato in blocco con tutti i provvedimenti del PNRR rappresenta l’ennesima riforma del reclutamento che rischia, come  altre, di produrre ancora precariato e acuire le tensioni tra i precari inseriti nelle GPS e tra i laureati che vi si inseriranno a breve. Non parliamo poi di coloro i quali stanno finendo un percorso di laurea magistrale o a ciclo unico.
In questo breve commento ci soffermiamo solo sulla parte inerente la fase transitoria per l’accesso ai futuri concorsi e intendiamo mettere in risalto le contraddizioni e le oggettive difficoltà operative che il governo sembra ignorare.
Sono interessati nella fase transitoria i docenti che già lavorano nella scuola con contratti a tempo determinato e i docenti che lavorano da inserimento nelle GPS.

L’art. 5, punto 4 del decreto prevede per loro:
“4. La partecipazione al concorso è in ogni caso consentita a coloro che hanno svolto, entro il termine di presentazione delle istanze di partecipazione al concorso stesso, un servizio presso le istituzioni scolastiche statali di almeno tre anni scolastici, anche non continuativi, nei cinque anni precedenti, valutati ai sensi dell’articolo 11, comma 14, della legge 3 maggio 1999, n. 124.”

Si evidenzia nel testo la riserva per coloro che abbiano svolto supplenze annuali al 30 giugno o 31 agosto o supplenze di almeno 180 gg in un anno scolastico oppure supplenze con servizio ininterrotto dal 1 febbraio fino allo scrutinio finale. I servizi devono essere annuali o calcolati come annuali per almeno 3 anni scolastici, anche non consecutivi,  entro i 5 anni precedenti l’indizione del concorso.

In questo caso i candidati all’abilitazione e al ruolo per concorso sono esonerati dal conseguire i CFU universitari previsti dal decreto per partecipare al concorso, ma dopo dovranno recuperare almeno 30 CFU.

All’art 13 punto 2 il decreto recita:
“2. I vincitori del concorso, che non abbiano ancora conseguito l’abilitazione all’insegnamento ed abbiano partecipato alla procedura concorsuale in forza dell’articolo 5, comma 4, sottoscrivono un contratto annuale a tempo determinato, e su richiesta a part-time, con l’ufficio scolastico regionale a cui afferisce l’istituzione scolastica scelta e acquisiscono, in ogni caso, 30 crediti formativi universitari o accademici del percorso universitario di formazione iniziale di cui all’articolo 2-bis con oneri a proprio carico”.

All’art.2-bis il governo immagina un percorso di abilitazione generalista per la scuola secondaria cui corrispondono 60 CFU che possono essere conseguiti nel percorso di laurea o successivamente con la presenza di almeno 20 CFU in tirocini diretti e indiretti (??) presso le scuole. In concreto i CFU previsti per i candidati ai prossimi concorsi corrispondono ad un anno di percorso universitario con  attività di tirocinio.

Tornando alla situazione attuale dei precari appare evidente la discrasia esistente tra la normativa attuale che prevede il conseguimento di 24 CFU per la partecipazione ai concorsi e per l’inserimento nelle GPS con i 30 CFU previsti. Quali sarebbero i CFU aggiuntivi necessari? Su quali ambiti disciplinari? Mistero.

Va all’occhio l’offensiva norma che prevede per chi ha già lavorato per più di tre anni nel quinquennio e supera la prova concorsuale (scritto e orale) di “poter” chiedere part time (dimezzando lo stipendio) e in ogni caso di farsi carico a proprie spese dei 30 CFU rimasti.

Uno Stato serio dovrebbe prevedere che simili percorsi fossero gratuiti per chi già lavora come precario nella scuola e ha superato una prova concorsuale di ammissione. Ma non siamo in uno Stato serio. Il povero precario, dopo aver superato il concorso e  fatti a sue spese i 30 CFU non entra ancora in ruolo. Serve ancora il classico anno di prova con valutazione finale.

Ancora più opaco è il dispositivo sul sostegno. L’art. 13 punto 4  del decreto recita:
“4. I vincitori del concorso su posto di sostegno sono sottoposti a un periodo annuale di prova in servizio, il cui positivo superamento determina l’effettiva immissione in ruolo. Il superamento del periodo annuale di prova in servizio è subordinato allo svolgimento del servizio effettivamente prestato per almeno centottanta giorni, dei quali almeno centoventi per le attività didattiche”.

Il problema è che in questo caso non si fa riferimento al conseguimento di una specializzazione su sostegno aggiuntiva dell’abilitazione ad una classe di concorso. Sembra che il governo intenda introdurre di fatto la classe di concorso di sostegno senza definirne chiaramente i requisiti e i confini. Chi si specializza con i TFA con laurea e 24 CFU ha diritto a partecipare al solo concorso per posto di sostegno? E se sì, perché il ministero non si prende la responsabilità di creare adeguate classi di concorso per il solo sostegno?

Di seguito riportiamo una slide presentata al Ministero ai sindacati per presentare la grande riforma per risolvere il problema del precariato.

Gilda Venezia

Il provvedimento appare complicato, lungo e penalizzante per i precari della scuola. Comprendiamo che una procedura concorsuale sia necessaria per accedere alla  professione, ma si poteva benissimo immaginare un doppio canale di reclutamento semplificato per i precari della scuola con almeno 3 anni di servizio negli ultimi 8.

Il Ministro e il governo non affrontano il problema di fondo. Un concorso può essere fatto seriamente e velocemente se si creano le condizioni per il suo efficiente ed efficace svolgimento. Per  questo servono commissioni formate da docenti che possano essere temporaneamente esonerati dal lavoro d’aula, come si faceva un tempo. E’ un costo per lo Stato, ma è sicuramente un costo in termine di immagine e connesso alla inevitabile reiterazione delle prove e degli inevitabili ricorsi continuare con i test a crocette concepiti da incapaci e che hanno avuto esiti sconcertanti con bocciature che toccano in alcuni casi il 90% dei concorrenti.

In tutto questo chi ci guadagna? Le università in primis. La facoltà di scienza della formazione in particolare. Ci guadagnano tutte le mitiche università telematiche che si sono ormai specializzate a vendere CFU a pagamento. Si amplierà il mercato della formazione con schiere di veri o presunti formatori. Il trionfo dei pedagogisti.

Chi ci perderà sicuramente saranno i docenti di ruolo che saranno costretti ad inventarsi percorsi di tutoraggio lunghi e pesanti pagati un piatto di lenticchie.